NATURETIX
Per quanto razionalmente possa comprendere il "sistema inconsapevole" della natura, regolato unicamente dalla necessità di difesa e di conservazione delle specie (ma che si traduce di fatto in un'eterna e disperata lotta tra i rispettivi singoli individui), fatico sempre più a trattenermi dalla tentazione di esprimere una sorta di giudizio etico circa gli aspetti di sofferenza, sopraffazione e morte che caratterizzano quell'insieme di meccanismi universalmente riconosciuto come equilibrio naturale, e come tale automaticamente dispensato da alcuna visione critica o, appunto, giudiziale.
Nonostante mi appaia evidente ed inconfutabile che piante ed animali, (inclusi - almeno limitatamente ad certa parte dei loro comportamenti - perfino i mammiferi umani), siano del tutto estranei al concetto di malvagità, intesa come intenzione deliberata di causare dolore e morte per fini non direttamente legati alla pura sopravvivenza, fatico ad accettare con distaccata rassegnazione l'idea di indifferenza della natura, non potendo non considerare il suo concretizzarsi in atroci sofferenze a spese degli individui che ne fanno parte.
Allo stesso tempo mi sento fortemente attirato dall'osservare da vicino, in tutta la sua crudezza, questo rapporto perverso tra perfezione del "sistema natura" e sofferenza dell'individuo, con il suo corollario di interrogativi irrisolvibili circa le ipotetiche motivazioni dell'essere.
Sotto il profilo percettivo, e quindi fotografico, mi interessa esplorare il contrasto tra l'impostazione cruda delle scene, il realismo delle ambientazioni naturali e la palese artificiosità dei modellini o dei giocattoli impiegati. Che riescono proprio in quanto tali ad enfatizzare l'effetto di una rappresentazione scenica dell'eterno ciclo di vita e morte della natura, come attori chiamati ad assicurare una programmazione in un numero infinito di repliche.
Così come mi interessa sperimentare un'ambiguità di scala tra le dimensioni ridotte dei soggetti e la scala reale degli elementi ambientali (terreno, sassi, erba), in relazione all'effetto emotivo che la scena riesce comunque a generare.
Trovo inoltre che sia curioso il controverso rapporto tra l'immobilità dichiarata dei soggetti e la staticità dell'istante fotografico in quanto tale, o meglio il congelamento di un'azione inscenata come improbabile movimento.
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Although I can rationally understand the unconscious system of nature, as it is ruled by a self-preservation instinct of species actually turning into an endless and desperate struggle between individuals, I struggle myself to hold back from the temptation of expressing ethical judgments about aspects such as suffering, overwhelming and death. These elements characterize at once all the mechanisms universally recognized as natural balance, and as such are automatically considered devoid of any critical vision or judgment .
It is indisputable that plants and animals (including human mammals, at least for a good deal of their behavior) are naturally unfamiliar to the concept of wickedness, meant as resolved and calculated intention to cause pain and death for reasons other than survival. Nonetheless I struggle to accept with distant resignation the idea of an indifferent nature, causing ferocious sufferings to the individuals that take part in it.
Meanwhile I am strongly fascinated by close observation of this perverted relationship between the perfection of the natural system and the suffering of each individual. With all its violence and rawness, this relation is carrier of unsolvable questions regarding hypothetical reasons of existence.
From the point of view of the perception, hence the photography, I am exploring the contrast between the raw structuring of the scenes, the realism of natural settings and the gross artificiality of models and toys exploited. They manage indeed to emphasize with theatrical effects the representation of the eternal cycle of life and death in nature, as good as actors called to ensure an endless rerun.
I am experimenting as well the scale ambiguity between the reduced proportions of the subjects against the real dimension of the natural elements involved (being them soil, stones or grass), in connection with the emotional effects that the scenes generate.
The controversial combination of the immobility displayed by the subjects and the stillness of the shot itself freezes the action in its settings as an unlikely motion.